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Il 25 settembre l’Italia è stata chiamata al voto. A novembre l’America di Biden affronta la sfida mid-term. Ma le elezioni non sono solo una questione di programmi, lo storytelling politico è anche una questione di immagine. Trump, Biden, Berlusconi e Zelensky ci ricordano che l’estetica conta, a volte a scapito del contenuto.

L’effetto Kennedy

Vi ricordate il dibattito televisivo tra John Fitzgerald Kennedy (giovane-abbronzato-affascinante) e un Richard Nixon malconcio e affaticato da una malattia? Correva l’anno 1960 e i due si affrontavano per le presidenziali. Il pubblico televisivo si schiera per Kennedy e lo incorona vincitore, del dibattito e delle successive elezioni, a scapito del suo avversario politico che ottiene consensi tra chi, quel dibattito, l’ha seguito in radio.

L’insegnamento è cristallino: l’aspetto estetico conta. La comunicazione politica passa attraverso molteplici fattori: sedurre gli elettori, disorientare i detrattori, far capire qualcosa del sé politico già da una prima e fugace occhiata attraverso l’abbigliamento giusto. In America è prassi consolidata che le figure pubbliche si avvalgano della consulenza di esperti di immagine, in Italia meno.

Fece scalpore quando, negli anni ’80, il Partito Socialista Italiano (PSI) decise di assumere un’agenzia pubblicitaria per catalizzare l’attenzione intorno alla figura del leader Craxi. In Italia la liaison tra politica, immagine e marketing raggiunge il suo apice nel 1994, con la “discesa in campo” del self-made man Silvio Berlusconi.

Berlusconi parte con le giacche doppiopetto per arrivare a una grottesca sfilata di capi inverosimili: la bandana bianca sul completo da uomo d’affari sudamericano, gli occhiali avvolgenti e il casco da carpentiere del 2001, quando si cala nel ruolo del “presidente operaio”.

Da Matteo Renzi a Matteo Salvini

Archiviato Berlusconi, il nuovo che avanza rivoluziona anche il guardaroba. Matteo Renzi, per le primarie del centrosinistra del 2012, offre un’immagine di sé antitetica a quella dei suoi anni come sindaco di Firenze. Abbandonato il look da “impiegato modello”, Renzi rottama la vecchia politica in maniche di camicia e prova ad azzerare le distanze con l’elettorato giovane sfoggiando in diverse occasioni un giubbotto di pelle.

Nel caso di Matteo Renzi, il tentativo di avvicinarsi a un elettorato giovane è maldestro. Sanna Marin, la giovane e agguerrita premier finlandese, è invece un esempio di comunicazione a un target giovane ben riuscita. Riga laterale, sopracciglia sottili, trucco leggero, outfit basici, quasi monastici, ne fanno una figura politica credibile e autorevole, nella quale però i Millennial riescono a identificarsi, sia per lo stile che per i contenuti.

Un altro esempio che funziona è rappresentato dal Premier Mario Draghi e dal Presidente Zelensky. Il primo, classico e rigoroso, rinforza la sua credibilità e autorevolezza attraverso l’abbigliamento. Di riflesso ne beneficia l’immagine di un intero paese, lo spread scende e l’economia galoppa. Il secondo è il presidente che ogni cittadino europeo vorrebbe. In mimetica e anfibi ha mostrato il vero volto del Cremlino e cosa significhi essere un leader. 

Trump e Biden, due stili a confronto

Il match tra l’ex presidente e l’attuale coinquilino della Casa Bianca è avvincente. I politici americani sembrano avere un rispetto maggiore del decoro e delle istituzioni e padroneggiano meglio le sottili leve del marketing politico. La loro è una battaglia a colpi di cravatta: blu per tranquillizzare, rossa per arringare, gialla per ammaliare, verde per dare speranza.

Una cravatta per ogni occasione? Sì, Matteo Salvini ha declinato a modo suo l’input americano: felpe per tutti i luoghi e tutti gli elettori. Purtroppo con esiti tragicomici, come quando, in visita a un centro per il sostegno ai profughi ucraini, venne respinto dal sindaco polacco Wojciech Bukan. Galeotta fu una maglietta con l’effige di Putin sfoggiata anni addietro proprio da Salvini.

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